"È chiaro che nel giovane pianista abitano una consapevolezza dei propri mezzi e una capacità di analisi che riescono a sorprendere"

Il giovane Gorini inizia dal Beethoven maturo

Filippo Gorini compirà 25 anni il prossimo 30 giugno, eppure alle prime uscite discografiche non ha avuto timore di confrontarsi con l’ultimo Beethoven. Nel 2017 ha pubblicato, sempre con Alpha, le Variazioni Diabelli; quest’anno licenzia un album che raccoglie le Sonate più difficili e stupefacenti dell’intero corpus delle 32, l’Hammerklavier in Si bemolle maggiore op. 106 e la Sonata in Do minore op. 111, l’ultima scritta dal genio di Bonn.
Altri pianisti, tra cui Glenn Gould e Maurizio Pollini, hanno affrontato in gioventù la produzione estrema di Beethoven. Le perplessità che tali scelte sollevano non riguardano certo la tecnica (i tendini sono più scattanti a 20 che non a 60 anni), ma la maturità dell’interprete. A Gorini mancheranno gli anni, ma non gli difettano intelligenza e concentrazione, cioè la capacità di soppesare le note e di articolare un discorso lucido. Così riesce a convincere anche nei brani meno estroversi delle due Sonate, l’Adagio sostenuto dell’op. 106 e l’Arietta dell’op. 111. Senza dire che nei tempi veloci è inesorabile ma non nervoso, quasi sapesse dosare al meglio la sua energia.
Anche se per la realizzazione del disco ha sentito il dovere di ringraziare i suoi insegnanti Maria Grazia Bellocchio, Alfred Brendel e Pavel Giliov, è chiaro che nel giovane pianista abitano una consapevolezza dei propri mezzi e una capacità di analisi che riescono a sorprendere.

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